giovedì 13 novembre 2014

Aggiornamento di ottobre 2014

Il piccolo amico – Donna Tartt

"Il piccolo amico" di Donna Tartt è un libro lungo, che procede lento, pieno di particolari, di personaggi e di storie minori che si intrecciano.
La potenza di questo romanzo sta nel fatto che Donna Tartt, oltre a scrivere divinamente, è anche dotata di un'efficacia non comune nel creare personaggi tridimensionali, pieni di sfumature, e proprio per questo veri, credibili e impossibili da dimenticare.
Gli adulti ne escono male: tutti, anche quelli "buoni", hanno delle zone d'ombra, delle sacche di veleno (come quelle dei serpenti che Harriet e Hely vogliono utilizzare per il loro piano). E a farne le spese sono appunto i bambini, su cui vengono riversati dolori e frustrazioni che spianano loro la strada per diventare adulti "avvelenati" come chi li ha cresciuti.
Leggendo “il piccolo amico” ci si rende conto che  non è così importante scoprire l'identità dell'assassino di Robin, proprio perché non si sta leggendo un giallo  ma un qualcosa di diverso, di più complesso e interessante.
L’autrice  è originaria del Mississippi, classe '63, in un'intervista ha citato come libri della sua infanzia gli stessi che fa leggere ad Harriet e, se servisse un'ulteriore prova che in questo personaggio ha messo molto della sé bambina, ha disegnato la giovane protagonista bruna (gli altri due fratelli invece sono rossi) e col taglio a caschetto che lei stessa porta.
Questo romanzo non ha ottenuto lo stesso successo di “Dio di illusioni”  ma bisogna considerare che si tratta di una narrazione molto più ampia e complessa, meno mainstream, con numerosi rimandi a un'infanzia mitica, dolorosa e lontana. E per certi versi collettiva. Non si può fare a meno di provare un sentimento ambiguo verso quel tempo, né una profonda malinconia.


Barthleby lo srivano - Melville
Ah, mio caro Melville! Quale incantesimo hai usato per conquistarmi così?  Non solo sai scrivere tomi giganti-pesanti-baroccheggianti, ma persino brevi racconti dipinti con spennellatine da impressionista. Eppure, quanto significato in quel I would prefer not
La mesta cocciutaggine di Bartleby nel rifiutarsi di eseguire qualsiasi richiesta (e in definitiva di uniformarsi al normale modo di vivere) con il suo mite "avrei preferenza di no" (che poi è un no e basta) risulta assolutamente disarmante, e paradossalmente, lungi dall'esasperare o spazientire chi gli sta intorno, finisce per rafforzarne la curiosità e la compassione.
In definitiva, non fa che aumentare il suo mistero.
Di Bartleby sono state date tante interpretazioni, lo si è assunto talvolta come simbolo (anche se non so di cosa esattamente).
Per me il personaggio rimane un mistero non meno che per il suo datore di lavoro, che rassegnato ce ne narra la storia: uno di quei misteri paradossali che continuano a stimolare l'immaginazione nonostante l'assoluta penuria di indizi.
Però se Melville mi visitasse in sogno offrendomi la soluzione di Bartleby, penso che anche io risponderei "avrei preferenza di no".


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